Perché sotto l’ombrellone (e a bordo) non dovrebbe mai mancare un manuale di primo soccorso in mare
Ogni estate escono le solite classifiche: romanzi sotto l’ombrellone, gialli per le ferie, thriller da leggere in spiaggia. Ma c’è un libro che nessuno consiglia mai, e che invece dovrebbe essere il primo nella lista: un buon manuale di primo soccorso in mare.
A dirlo non è un semplice appassionato, ma un medico di pronto soccorso, Flavio Cesaro, 39 anni, specialista in medicina d’urgenza al CTO di Napoli e appassionato di mare, pesca e apnea. Autore, insieme a Mario Guarino, del libro “Brave Heart. Il medico in prima linea”, Cesaro lancia un messaggio chiaro: sapere cosa fare – e cosa non fare – in un’emergenza in acqua può fare la differenza tra la vita e la morte.
Un mare di emergenze… spesso ignorate
Ogni anno nel mondo oltre 300.000 persone muoiono annegate. A colpire è soprattutto la fascia tra i 14 e i 24 anni, spesso pericolosamente inconsapevoli dei rischi che si corrono in mare, in piscina o nei fiumi. E tra i più piccoli, l’annegamento è la seconda causa di morte traumatica negli Stati Uniti.
Molti dei casi letali arrivano in ospedale già senza speranza. Ma in circa il 6% dei casi, noti come “quasi annegamenti”, un intervento tempestivo di chi sa cosa fare può davvero salvare una vita: rianimazione, posizione laterale di sicurezza, ventilazioni… Tecniche che dovrebbero far parte del bagaglio minimo di ogni diportista, bagnino, escursionista o semplicemente genitore in vacanza.
Primo soccorso in mare, cosa fare e cosa no: serve cultura del soccorso
Flavio Cesaro è chiaro: “Troppa gente non conosce nemmeno le basi del primo soccorso. Servirebbero corsi in azienda, nelle scuole, o anche solo più formazione nei corsi patente nautica. I bagnini non sono medici, ma spesso sono gli unici che sanno davvero cosa fare nei primi minuti decisivi.”
E se imparare tecniche avanzate può non essere per tutti, conoscere gli errori da evitare è già un buon inizio. Come non mettere mai una persona che ha rischiato l’annegamento in posizione supina, o non tentare di farla camminare se è incosciente.
Apnea e immersioni: il pericolo è anche a pochi metri
Si tende a pensare che i rischi sott’acqua riguardino solo i sub. Niente di più falso.
Un’immersione in apnea anche di pochi metri, se fatta senza sapere cos’è la compensazione, può provocare barotrauma, enfisema polmonare o addirittura embolia gassosa. E non parliamo di profondità abissali, ma di 10–15 metri, quelli che chiunque può raggiungere con una pinneggiata un po’ più energica.
E il panico, in acqua, è un nemico invisibile ma letale: aumenta il consumo di ossigeno, confonde, impedisce di prendere decisioni lucide. Cesaro lo dice chiaramente: “Il panico può incidere fino all’80% sull’esito di un incidente in apnea.”
Bagnasciuga, meduse e colpi di sole: anche a riva serve attenzione
Non servono le profondità per mettersi nei guai. Anche la spiaggia nasconde insidie.
Le tracine, ad esempio, pesci velenosi che si nascondono nella sabbia: basta una passeggiata a riva per ritrovarsi con una puntura dolorosissima (e potenzialmente letale per chi è allergico). Oppure le punture di ricci, le scottature solari gravi, i colpi di calore. L’epidermide è un organo: dimenticarlo può portare a disidratazione, aritmie, svenimenti o addirittura crisi epilettiche.
Il sole fa bene, certo. Ma senza protezione (meglio se 50+ resistente all’acqua), può fare molto male: melanoma, basalioma e danni permanenti alla pelle non sono una rarità, soprattutto per chi si espone senza criterio.
Anche il freddo può essere un nemico
Non c’è solo il caldo: anche il freddo può mettere a rischio la vita.
Una nuotata troppo lunga in acque fredde, soprattutto al largo, può portare all’ipotermia. E l’ipotermia, anche se inizialmente sottovalutata, può innescare disturbi cardiaci, confusione mentale, irrigidimento muscolare e difficoltà respiratorie. La soluzione? Una muta, anche leggera, e sapere quando è il momento di uscire dall’acqua.
In barca: attenzione al boma, ai traumi e alle infezioni
A bordo, i rischi non mancano. Soprattutto per i neofiti.
Il boma di una barca a vela può trasformarsi in un’arma micidiale: un colpo alla testa può gettare in acqua una persona priva di sensi. E i traumi da collisione tra imbarcazioni sono sempre più frequenti, complice la crescente improvvisazione di molti diportisti.
Senza dimenticare le infezioni da ferite o le comuni otiti da nuotatore, spesso causate da acque contaminate o scarsa igiene post bagno. Basta poco: non asciugarsi le orecchie, non usare tappi otologici se si è predisposti, o sottovalutare un piccolo graffio da corallo o sabbia.
Il kit ideale da avere sempre con sé in barca o in spiaggia per un primo soccorso in mare
Una piccola farmacia d’emergenza può fare la differenza. Ecco cosa dovrebbe contenere:
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Soluzione antisettica e disinfettante (acqua ossigenata, Betadine)
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Garze sterili, cerotti, nastro adesivo
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Creme lenitive e spray per punture di meduse e insetti
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Antistaminici orali
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Tachipirina e ibuprofene
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Creme al cortisone
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Fermenti lattici
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Adrenalina autoiniettabile (per soggetti allergici)
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Braccialetti identificativi per bambini
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Cappellini, occhialini, braccioli omologati
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Acqua, sali minerali leggeri, snack energetici
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Crema solare alta protezione, resistente all’acqua
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Soluzione fisiologica
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E in barca: un defibrillatore automatico (DAE)
In conclusione: un piccolo gesto può salvare una vita
Saper intervenire nei primi minuti dopo un incidente in acqua può cambiare tutto. E se non si hanno le competenze tecniche, almeno sapere cosa non fare è un punto di partenza.
Un manuale di primo soccorso in mare, oggi, dovrebbe essere considerato un equipaggiamento obbligatorio, al pari del giubbotto salvagente o della pompa di sentina. Una lettura utile, magari meno “leggera” di un romanzo, ma mille volte più importante.
Perché in mare, come nella vita, chi conosce… sopravvive.
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